Sto trascorrendo un weekend in Valtellina e mi capita di parlare con la gente del posto.
Una persona mi racconta che lo scimudin che mangiava da bambina era completamente diverso da quello che si vende adesso. Fino a qualche anno fa, lo scimudin veniva fatto in casa con il latte fresco e ciascuno lo faceva in casa a proprio modo, secondo le tradizioni tramandate dai nonni. Ora lo scimudin è diventato un prodotto industriale, con un gusto uniforme, anonimo e omologato, che ha perso le peculiarità e i sapori di una volta. Chi ha provato a consumare il vero formaggio, quello prodotto con la mungitura del giorno, sa benissimo che il gusto cambia da una forma all’altra perché le bestie in montagna non mangiano sempre lo stesso tipo di erba.
Se qualcuno vuole il burro d’alpeggio, deve rivolgersi ai produttori dotati di una licenza particolare per produrre burro, che è diversa da quella necessaria per produrre i formaggi. Qualcuno produce il burro senza possedere questa licenza e lo vende sottobanco nei posti noti tramite il passaparola, dove si può acquistare questo burro illegale facendo una domanda specifica (una sorta di password). I medici anziani della Valle dicono di non ricordare un singolo caso di malessere provocato dal burro avariato, mentre ricordano casi assai sporadici di problemi legati ai formaggi. Piccola nota: il colore del burro è giallo paglia, non bianco candido.
Un piccolo casaro locale fa una dimostrazione in piazza durante la quale produce al momento una ricotta fresca. Chiacchierando, ci racconta che prima conferiva il suo latte alla latteria sociale, ma un bel giorno ha smesso perché aveva notato che altri non mantenevano il suo livello di qualità. In questo modo si è trovato a dover gestire da solo 120 litri di latte fresco al giorno. Applicando le nozioni che aveva appreso e con tanta passione, ha iniziato a produrre formaggi in proprio. Quando ha visto che l’attività iniziava ad ingranare, ha deciso di seguire dei corsi di perfezionamento per offrire prodotti migliori. Il commento lapidario del padre di questo casaro è stato “Più fai corsi e più i tuoi formaggi peggiorano anziché migliorare”.
Questi sono casi emblematici dell’eccesso di regolamentazione sia a livello statale e comunitario, sia a livello aziendale. A livello comunitario e statale ci sono regolamenti che tutelano il consumatore solamente sulla carta perché alla fine il prodotto che arriva in tavola è solamente l’ombra di quello che era qualche tempo fa. Nelle grandi aziende ci sono consulenti legali e consulenti marketing che stabiliscono le caratteristiche dei prodotti, con assurdi eccessi di zelo, ipergarantismi e presunte regole di marketing che snaturano il prodotto.
Il risultato? Fino (diciamo) a trent’anni fa era il casaro che decideva se un prodotto era buono, ora sono un legislatore che, magari, non è mai stato sulle Alpi, un avvocato che si ciba da McDonald’s per pagarsi il Rolex o un manager che non sa distinguere una mucca da un toro (suggerimento: non sono le corna).